
Tito Livio racconta che Romolo,dopo aver fondato Roma e averla organizzata,cominciò a vestirsi con magnificenza e si circondò di dodici littori. Tradizionalmente si pensa che il fondatore dell'Urbe abbia scelto questo numero,volendo alludere ai dodici avvoltoi apparsigli durante la presa degli Auspici,ma è più probabile che egli intendesse riferirsi a un rituale Etrusco,perchè,sempre a quel che dice T.Livio,il fascio rappresenteva uno dei simboli di potere ultilizzati dalle genti della Tuscia.
La nazione Etrusca era costituita da dodici città,ognuna delle quali possedeva un proprio fascio. Quando doveva essere eletto un re della Dodecapoli,a colui che vinceva l'elezione andavano consegnati i dodici fasci,emblema della potenza di ciascuna di queste .
Alcuni linguisti sostengono che il suffisso "lus",venisse usato per indicare il fondatore di una città,in questa ottica il nome Romulus dovrebbe voler dire "Fondatore di Roma".
Quanto ai dodici littori,il fatto in se stesso,porterebbe a delle implicazioni interessanti,mostrando il personaggio Romolo in una luce molto particolare.Prima di tutto Roma viene fondata secondo il rito Etrusco,poi Romolo,divenuto re a tutti gli effetti,si veste con magnificenza.Così che la sua immagine, si stacca subito da quella tradizionale di personaggio rustico, re di una città di pastori.Inoltre Plutarco,parlando di lui,afferma che Romolo fosse un profondo conoscitore dell'Arte Augurale,arte che avrebbe appreso nella città di Gabii."...tutta l'Italia era sotto il dominio della potenza Etrusca",sostiene Seneca;quanto a Gabii,dai reperti archeologici,sembra essere stata in stretto rapporto con la cultura Tirrenica. Ci si chiede allora cosa potesse significare l'assunzione dei dodici littori da parte di Romolo,considerando che ognuno di questi rappresentava la potenza di una città della Dodecapoli e che,solamente al capo di tutti i Principi Etruschi,era consentito possederli tutti insieme.
L'età in cui visse Romolo ,è quella della massima potenza della nazione Etrusca,così che vien fatto di chiedersi,quale reazione avrebbe potuto suscitare,la nascita di una città come Roma proprio ai confini del territorio Etrusco; e allora non si può fare a meno di chiedersi in che modo possa configurarsi Romolo,nei confronti del rito annuale che si teneva nel Fanum del dio Voltumna.. Era forse Roma considerata una nuova città della Dodecapoli? Ponendosi queste domande,non si può non rilevare una notevole simmetria, tra una versione del concepimento di Romolo riportata da Plutarco, e quanto accade al piccolo Servio Tullio nella reggia di Tarquinio Prisco.
Protagonista degli avvenimenti è il focolare del re,quanto ai due bambini, sono entrambi figli di una ancella della famiglia reale e,nonostante la loro origine servile,sia l'uno che l'altro diventeranno re dell'Urbe.Va inoltre rilevato che nella versione plutarchea,il re di Alba ha un nome Etrusco:Tarchezio. Inoltre nel corso della guerra contro i Sabini,Romolo ha per alleati i fratelli Vibenna che,secondo quel che ci viene tramandato da Varrone e Dionigi di Alicarnasso, erano fedeli alleati di Roma,come in passato i Ceriti lo furono di Enea.
Plutarco racconta che a quei tempi sul popolo Albano regnava un re di nome Tarchezio. Un giorno nella reggia si verificò un fatto straordinario:dal focolare uscì l'immagine di un membro virile che si mise a svolazzare per tutto il palazzo.Tarchezio si recò allora a consultare l'oracolo di Teti. Questo gli rivelò che l'inquietante fantasma doveva congiungersi a una ragazza vergine e che, da questa unione, sarebbe nato un uomo superiore ad ogni altro in gloria e valore.In conseguenza di ciò, Tarchezio impose alla figlia di concedersi al mostro.La ragazza era però a tal punto spaventata che ingiunse ad una schiava di prendere il suo posto.Informato dello scambio, il re si infuriò al punto di condannare a morte sia la figlia che la schiava,ma durante la notte Vesta gli apparve in sogno, proibendogli di far morire le due ragazze.Tarchezio allora,non potendo dar sfogo alla propria collera, le fece imprigionare e impose loro di tessere una tela ,promettendo che appena l'avessere ultimata,non solo le avrebbe lasciate libere,ma le avrebbe date in sposa ad uomini confacenti al loro rango. La due si misero a lavorare alacremente,ma nel corso della notte,delle donne,per ordine di Tarchezio penetravano nella prigione e disfacevano quel che le ragazze avevano tessuto durante il giorno. Dopo un certo tempo la schiava diede alla luce due gemelli.Il re,sempre più furioso, ordinò che fossero uccisi entrambi i bambini.Tuttavia chi aveva il compito di farlo,mosso a compassione,volle dar loro una possibilità di vita e li pose in un paniere che, abbandonò alla corrente del Tevere.A questo punto le due versioni coincidono. Quanto a Servio Tullio,sesto re di Roma,da T.Livio è presentato come figlio della schiava Ocrisia,e condotto con la madre nel palazzo dei Tarquinii dopo la presa di Cornicolo.Allevato dalla regina Thanaquil,anche lui fu al centro di un prodigio originatosi dal focolare della reggia..Mentre riposava accanto a questo,all'improvviso una fiamma uscì dal focolare,si diresse verso il bambino e gli si dispose intorno come un nimbo. Coloro che erano presenti,impressionati dal fatto corsero a prendere dell'acqua,ma Thanaquil impose loro di desistire,perchè individuò nell'avvenimento un segno che, indicava nel fanciullo colui che sarebbe divenuto il prossimo re dell'Urbe.. Quindi,anche Servio come Romolo nasce da una schiava,e come lui è connesso ad una misteriosa divinità che agisce dal focolare della reggia, e in un un certo senso fu il fondatore di Roma. Infatti Servio, la rifondò,in quanto è storicamente e archeologicamente accertato che,appena asceso al trono,procedette ad una rifondazione dell'Urbe.Ne sono testimonianza le mura serviane, che ancora ai nostri giorni disegnano il perimetro del nuovo pomerio voluto da lui e, ne trasmettono il nome. Servio Tullio sesto re di Roma, pur appartenendo ancora alla leggenda entra già nella mitistoria,grazie a quanto ci tramandò l'imperatore Claudio e, per merito di un affresco rinvenuto in una tomba Vulcente, che sottolinea lo stretto rapporto intercorso tra Roma gli Etruschi e la loro storia. (Continua)
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